GIULIANO E KONSTANTINOS KAVAFIS

Molte opere letterarie dell’età moderna e contemporanea hanno trattato della vita di Giuliano. Basti ricordare, per citare solo alcuni classici, il dramma Cesare e Galileo (1873) del norvegese H.Ibsen, il dramma Giuliano l’Apostata (1876) di P.Cossa, la tragedia Giuliano l’Apostata (1885) del ceco J.Vrchlický e il romanzo La morte dei numi: Giuliano l’Apostata (1894) del russo D.S.Merežkovskij, prima parte della trilogia Cristo e l’Anticristo.

Tra i tanti, mi soffermo su Konstantinos Kavafis (1863-1933), poeta greco–alessandrino che, nato esattamente 1500 anni dopo la morte di Giuliano, percepì ancora intensamente e descrisse con vivo livore il tentativo posto in essere da Giuliano di intralciare la transizione dall’ellenismo pagano al cristianesimo
Da cristiano ortodosso, Kavafis lo disprezzò, attribuendogli sterile intransigenza ed ottuso senso della tradizione ma, nel bene o nel male, ne dovette subire l’influenza se, diverse sue poesie, furono direttamente ispirate alla figura dell’imperatore e se, in molte altre, è comunque ricorrente il motivo della sconfitta di colui che non vive in sintonia con i suoi tempi e cerca invano riparo in un modo di fare e di pensare che, oramai, fa parte del passato.
Ne riporto alcune, tratte da Costantino Kavafis – Poesie a cura di Filippo Maria Pontani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1961


GIULIANO, CONSTATANDO NEGLIGENZA (1923)
Io, constatando molta negligenza
in noi verso gli dei...
”, dice con tono grave.
Negligenza. Ma dunque, che sperava?
Poteva riformare il clero nell’organico,
e scrivere al pontefice dei Galati e d’altrove,
dando istruzioni e moniti fin che desiderava.
Positivo: i suoi amici non erano cristiani.
Ma certo non potevano giocare, come lui
(tutto cristiano nell’educazione)
con il sistema d’una chiesa nuova,
grottesco nella pratica e nei piani.
Erano greci, infine. Augusto, non esagerare!


GIULIANO A NICOMEDIA (1924)
Atti rischiosi e vani.
Celebrazioni, visite ai templi dei pagani.
Lodi per gl’ideali della grecità.
Esaltazioni di divinità.
Colloqui con Crisantio con un ritmo frequente.
E le teorie di Massimo (del resto, assai valente).
Ecco la conclusione. Gallo appare
molto inquieto. Costanzo comincia a sospettare.
Ah! Chi lo consigliò non ebbe troppo ingegno.
Questa storia – Mardonio dice – ha passato il segno,
bisogna che finisca subito il suo clamore.
Così Giuliano ritorna lettore
in chiesa, a Nicomedia, e là
a gran voce e con molta pietà
recita le Scritture; e desta ammirazione
nel popolo la sua cristiana devozione.


GIULIANO E GLI ANTIOCHENI (1926)
Ma possibile mai che rinnegassero
la loro vita splendida, la varietà dei loro
quotidiani diletti, il loro fulgido
teatro, dove l’Arte era una cosa sola
con i trasporti erotici?
Immorali lo erano, non poco (forse molto).
Pure, avevano un vanto: quella vita
era la decantata vita d’Antioca,
di voluttà, di gusto inimitabile.
E ora, rinnegare tutto? E dove rivolgersi?
Ai vaniloqui sugli dei falsi e bugiardi,
alle sue ciance uggiose su se stesso,
alla puerile fobia del teatro, alla sua
austerità sgraziata, alla barba ridicola?
Oh, certo, meglio Chi.
Oh, certo, meglio il Cappa. Cento volte.


GRAN PROCESSIONE D’ECCLESIASTICI E LAICI (1926)
D’ecclesiastici e laici una gran processione
(rappresentate tutte le categorie)
sfila per strade e piazze e porte
della famosa città d’Antiochia.
In testa all’imponente processione
un efebo bellissimo biancovestito regge
con le mani levate la croce,
nostra forza e speranza, la Santissima Croce.
I pagani, già tanto tracotanti,
e ora tutti riservati e timidi,
s’allontanano in fretta dal corteo.
E lontano, lontano da noi restino sempre
(fino a che non abiurino il loro errore). Avanza
la Santissima Croce. E per ogni quartiere
dove divotamente vivono i cristiani
reca conforto e gioia:
escono, i pii, sugli usci
e pieni d’esultanza adorano
la forza, la salute del mondo, la Croce.
È una festa annuale dei cristiani.
Ma oggi, ecco, si celebra con più cospicua pompa.
È libero lo Stato, finalmente!
Il sozzo, abominevole Giuliano
ormai non regna più.
Preghiamo per il piissimo Gioviano.


INTESO, NO (1928)
Sulle nostre credenze religiose, il fatuo
Giuliano disse: “Ho letto, ho inteso,
ho condannato
”. Quasi ci avesse annichilito
con quel suo “condannato”. Che buffone!
Tali motti non hanno presa su noi cristiani.
Subito rispondemmo: “Hai letto; inteso, no:
se avessi inteso non avresti condannato
”.

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