PERCHÉ GIULIANO

È sempre difficile capire da dove nascano, certe passioni.
Quello che è bello per tanti, a pochi non piace.
E quello che a tanti non interessa, ad altri appassiona.
A me, piace l’anticonformismo.
A me, piace la ferrea volontà di non arrendersi al mondo che cambia.
A me, piace quel sottile appagamento di sentirsi diverso dagli altri, fuori dagli schemi.
A me, piace Giuliano. Quell’uomo che, parlando di se stesso, diceva:


“La mia ruvidità,
la mia sgarbatezza,
il mio non piegarmi facilmente,
il non regolare i miei affari a seconda di chi prega o di chi inganna,
il non cedere alle grida;
anche vizi di questo genere: io li amo”

(Flavius Claudius Iulianus, Μισοπώγων - L’odiatore della barba, 18)

BIOGRAFIA

Flavius Claudius Iulianus, nato a Costantinopoli nel maggio del 331 d.C., era figlio di Giulio Costanzo, un fratellastro dell’imperatore Costantino, e della nobile Basilina. Scampato insieme al fratellastro maggiore Flavio Claudio Costanzo Gallo al massacro della propria famiglia, posto in essere nel maggio del 337 dall’esercito a favore (e, presumibilmente, per conto) dei figli di Costantino, fu allontanato dalla corte imperiale; inviato a Nicomedia, in Bitinia, fu affidato alle cure dell’eunuco Mardonio (che lo educò al culto dell’antichità classica) e, soprattutto, del vescovo ariano Eusebio.
A Nicomedia, Giuliano restò sino a quando, nel 342, fu trasferito nella villa imperiale di Macellum, in Cappadocia, dove già risiedeva da tempo il fratello Gallo, e lì visse sotto severissima vigilanza, studiò filosofia e retorica e fu educato alla fede cristiana.
Intorno a 348, Gallo fu chiamato da Costanzo II presso la corte di Costantinopoli e Giuliano si sentì implicitamentente autorizzato a raggiungere il fratello; ben presto, però, Costanzo II lo allontanò dalla città e lo fece trasferire nuovamente a Nicomedia.
Gli anni che seguirono furono fondamentali per la sua formazione culturale; egli subì l’influenza di Libanio e, soprattutto di Massimo di Efeso, un neoplatonico taumaturgo, conosciuto a Pergamo, entrando in contatto con il circolo del neoplatonico Edesio; fu in questo modo che Giuliano si allontanò dal Cristianesimo, maturando una concezione religiosa ispirata all’antico politeismo e al misticismo neoplatonico.
Intanto, morti Costantino II nel 340 e Costante nel 350, Costanzo II era rimasto l’unico imperatore; privo di eredi, nel 351 egli nominò Cesare il cugino Gallo e gli affidò l’Oriente.
Dopo la caduta in disgrazia di Gallo, decapitato nel 354, Giuliano fu chiamato alla corte di Milano da Costanzo II e processato (ma assolto) per disobbedienza e, ancora una volta, tenuto sotto vigilanza.
Nella primavera del 355, gli fu però concesso di andare ad Atene, dove si dedicò completamente allo studio della filosofia neoplatonica; lì conobbe i due futuri vescovi, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo, ma ebbe soprattutto modo di visitare i templi pagani e di essere iniziato ai misteri mitriaci ed eleusini.
Con la probabile intercessione dall’imperatrice Eusebia, Giuliano fu richiamato a Milano da Costanzo II; il 6 novembre del 355, preoccupato per le sorti dell’Occidente, l’imperatore lo nominò Cesare e lo inviò in Gallia, minacciata dai Franchi e dagli Alemanni (intanto sì unì in matrimonio con Elena, sorella dell’imperatore).
In Gallia, dopo un’esistenza dedita agli studi, rivelò doti politiche e militari non comuni e riuscì nell’impresa di restaurare l’ordine nella regione: nel 357 riuscì infatti a sconfiggere gli Alemanni presso Strasburgo e, poco dopo, i Franchi, lungo il Reno, riuscendo quindi nell’imprese di salvare la Gallia.
Altrettanto abile fu nella gestione delle relazioni con Costanzo II, come dimostrano anche i due panegirici sull’Imperatore scritti in Gallia nel 356 e nel 358.
Forte dei successi, riuscì a guadagnarsi la stima dei suoi legionari che nel 360, a Parigi, lo acclamarono Augusto. Dopo una fase iniziale nella quale evitò di contrapporsi in modo troppo netto a Costanzo II, nel 361 Giuliano prese la decisione di marciare verso Oriente, da dove Costanzo II stava intanto rientrando per affrontare la situazione ma, mentre era con il suo esercito a Niš e lo scontro tra le due armate si avvicinava, l’imperatore, colpito da forti febbri, morì a Mopsucrenae, in Cilicia.
Nell’estate del 362, spinto da mistica fiducia nel proprio successo e dal desiderio di porre fine alla questione persiana ed emulare il tentativo di Alessandro Magno e Traiano di unificare Oriente e Occidente in un unico grande impero, si trasferì con le sue truppe nella città di Antiochia; tra le città dell’impero, Antiochia, con la sua proverbiale decadenza morale, era forse quella che incarnava meno lo spirito di Giuliano, che infatti non tardò ad entrare in aperto contrasto con la popolazione locale.
Da Antiochia, Giuliano mosse contro la Persia: conquistò alcune fortezze e costrinse il nemico a chiudersi a Ctesifonte ma, nel corso della campagna, colpito mortalmente in battaglia, morì il 26 giugno del 363.
Il suo posto, fu preso da Gioviano.

LA PERSONALITÀ DI GIULIANO

Pochi imperatori romani sono stati oggetto di posizioni così controverse quanto lo è stato Giuliano. Gli autori pagani, pur non risparmiandogli alcune critiche, furono ovviamente suoi grandi estimatori; al contrario, quelli cristiani, lo odiarono spesso in modo viscerale.
Tra i primi, riportiamo il profilo fisico e psicologico dell’imperatore tramandatoci da Ammiano Marcellino e da Eutropio. Tra le fonti avverse, il breve resoconto della vita di Giuliano redatto da Orosio.

Ammiano Marcellino, Storie (XXV, 4)
[1] Uomo certamente degno di essere annoverato fra i geni eroici, ammirabile per le illustri imprese e per l’innata maestà (...).
[2] (...) la sua castità risplendette così inviolata che dopo la morte della moglie risulta che non lo sfiorò alcune pensiero amoroso (...).
[4] Questo genere di temperanza cresceva sempre più per effetto della parsimonia nel cibo e nel sonno a cui si atteneva sia in casa che fuori (...).
[5] Quando poi con un breve sonno aveva riposato il fisico abituato alle fatiche, svegliatosi controllava personalmente i cambi di guardia ed i picchetti. Dopo queste serie occupazioni militari, si ritirava a studiare (...).
[7] (...) Espertissimo nelle arti della guerra e della pace e assai incline alla cortesia, esigeva per sé tanta deferenza quanta riteneva che lo preservasse dal disprezzo e dall’insolenza. Era più vecchio per virtù che per età. Voleva conoscere tutti i processi ed alle volte diede prova di essere un giudice inesorabile. Si mostrava censore rigidissimo nel regolare i costumi, sereno spregiatore delle ricchezze e di tutte le cose mortali (...).
[8] (...) minacciava la spada anziché usarla (...).
[10] La sua fortezza appare dal gran numero di combattimenti e dal modo con cui condusse le guerre, come pure dalla resistenza alle temperature eccessivamente fredde ed al caldo. Sebbene ai soldati si richiedano prestazioni fisiche, al comandante invece l’attività della mente, egli in persona, venuto audacemente a battaglia, abbatté da solo fieri nemici ed opponendo agli avversari il suo petto, più d’una volta, trattenne i nostri in ritirata. Sia che rovesciasse i regni dei furiosi Germani, sia che si trovasse tra la polvere ardente della Persia, alimentava il coraggio dei soldati combattendo in prima linea (...).
[16] Ora che abbiamo esposto quei lati positivi del suo carattere che ci erano noti, passiamo a trattare, sia pur brevemente, dei suoi difetti. Aveva un carattere piuttosto incostante, ma tuttavia vi poneva rimedio con l’ottima abitudine di permettere agli altri di correggerlo quando si allontanava dalla retta via.
[17] Era alquanto loquace ed assai raramente taceva; si dedicava eccessivamente all’interpretazione dei presagi, tanto che sembrava uguagliare in quest’attività l’imperatore Adriano. Era più superstizioso che osservante sincero delle disposizioni religiose; sacrificava, senza alcun riguardo, innumerevoli greggi, tanto che si credeva che, se fosse ritornato dalla campagna contro i Parti, sarebbero spariti tutti i buoi. In ciò era simile a Marco Aurelio, riguardo al quale fu scritto il distico: “I bianchi buoi salutano Marco Cesare. Se vinci ancora una volta, noi siamo finiti”.
[18] Si compiaceva degli applausi del volgo e desiderava sfrenatamente di essere lodato anche per motivi di nessuna importanza (...).
[20] Infatti, tranne rare eccezioni, fece promulgare leggi non oppressive (...). Fra le eccezioni va annoverato il crudele decreto che proibì l’insegnamento ai maestri di retorica e di grammatica cristiani, a meno che non fossero passati al culto degli déi (...).
[22] Passiamo ora a parlare del suo aspetto esteriore e della forma delle membra. Era di media statura, aveva le chiome morbide come se fossero pettinate e portava un’ispida barba che finiva a punta. Gli occhi splendevano di fulgida bellezza ed indicavano l’acume della sua mente. Aveva belle sopracciglia, naso molto diritto, la bocca un po’ troppo grande con il labbro inferiore cadente. Il collo era largo ed alquanto curvo, le spalle ampie e forti. Dal capo alla punta dei piedi era ben formato, per cui era robusto ed un ottimo corridore (...).

Eutropio, Breviario dalla fondazione di Roma (X, 16)
Quindi Giuliano entrò in possesso dell’impero e, con grande schieramento di forze, mosse contro i Parti; a questa spedizione presi parte anch’io.
Occupò per resa o espugnandoli con la forza alcune città e castelli dei Persiani; poi saccheggiò l’Assiria e per qualche tempo tenne stabilmente il suo quartiere a Ctesifonte.
Ritornando vincitore, per essersi troppo temerariamente mescolato coi combattenti, rimase ucciso da mano nemica il 26 giugno dell’anno settimo del suo impero e trentesimosecondo della sua vita, e fu ascritto tra gli dei.
Straordinaria personalità, avrebbe governato egregiamente lo stato, se i fati glielo avessero consentito; fu profondo quanto altri mai nelle discipline liberali, molto dotto nelle lettere greche, tanto che la sua cultura latina non poteva in alcun modo sostenerne il paragone, fecondo e pronto parlatore, di memoria tenacissima, in alcune cose assai simile a un filosofo.
Fu liberale verso gli amici, ma meno cauto di quanto convenisse a un così grande principe. Alcuni infatti ne intaccarono la fama.
Fu giustissimo verso i provinciali e moderatore dei tributi per quanto era possibile, umano con tutti, poco preoccupato dell’erario, avido di gloria e per essa spesso smodato nei disegni, persecutore eccessivo della religione cristiana, ma tuttavia astenendosi dallo spargere sangue, poco dissimile da Marco Antonino, che egli si studiava anche di imitare.

Orosio, Le storie contro i pagani (VII, 30, 1-6)
[1] Nell’anno 1116 dalla fondazione di Roma, Giuliano, già Cesare e in seguito impadronitosi del supremo potere come trentaseiesimo dopo Augusto, regnò da solo un anno e otto mesi.
[2] Perseguitando la religione cristiana più con l’astuzia che con la forza, cercò di ottenere che la fede di Cristo fosse negata e reintrodotto il culto degli idoli più con gli onori che con la costrizione e tormenti.
[3] Ordinò poi esplicitamente con un editto che nessun cristiano potesse professare l’insegnamento degli studi liberali. Ciononostante, come abbiamo appreso dai nostri antenati, tutti quasi dovunque rispettarono le condizioni poste dall’editto e preferirono abbandonare l’ufficio piuttosto che la fede.
[4] Giuliano però, preparando una guerra contro i Parti e traendo con sè a ineluttabile perdizione le forze romane raccolte da ogni parte, consacrò ai suoi dei il sangue dei cristiani, intenzionato a perseguitare pubblicamente le chiese se fosse riuscito a conquistare la vittoria.
[5] Aveva infatti ordinato di costruire a Gerusalemme un anfiteatro in cui, di ritorno dai Parti, potesse gettare alle belve rese ad arte più feroci i vescovi, i monaci e tutti i santi del luogo e godere del loro supplizio.
[6] E così, tolto l’accampamento da Ctesifonte e spinto nel deserto dall’inganno di un fuggitivo, mentre l’esercito periva sfinito dalla sete e dall’ardore del sole, nonché dall’insopportabile bruciore della sabbia, l’imperatore, aggirandosi troppo incautamente in quelle plaghe desertiche, preoccupato da così estremo pericolo, morì colpito dall’asta di un cavaliere nemico che gli era balzato innanzi. Così Dio misericordioso dissolse gli empi propositi con la morte dell’empio.

LA POLITICA CIVILE

Dal punto di vista politico ed amministrativo, nel suo breve impero, Giuliano cercò di riorganizzare lo Stato, ripristinando dove possibile i valori tradizionali romani; rientrò in questo ambito la sua riforma ed il rafforzamento del Senato di Costantinopoli, ma anche la sua particolare attenzione alla tradizionale autonomia delle amministrazioni cittadine, una questione molto sentita dalle aristocrazie urbane, che sopportavano sempre più mal volentieri la pressione politica e fiscale esercitata dal potere centrale.
Le amministrazioni cittadine furono in particolare agevolate attraverso una politica fiscale meno opprimente rispetto al passato, che si realizzò ad esempio nel rendere volontario il dono dell’aurum coronarium (la corona d’oro che le città erano tenute a donare al nuovo imperatore) o nel ridurre il costo del sistema di posta pubblica.
Le minori entrate furono compensate mediante una generale riorganizzazione del sistema fiscale ed un rafforzamento dei controlli, nonché attraverso la soppressione delle esenzioni fiscali che Costantino aveva concesso al clero; molte proprietà che erano state trasferite alla Chiesa, tornarono inoltre in possesso delle amministrazioni cittadine.
Come già aveva fatto alcuni decenni prima Diocleziano, anche Giuliano tentò di introdurre un calmiere dei prezzi, finalizzato a mettere un freno alle manovre speculative dei commercianti, che si ripercuotevano pesantemente sugli strati più poveri della popolazione.

LA POLITICA RELIGIOSA

La soppressione dei privilegi fiscali del clero va collocata nella più complessa politica religiosa di Giuliano, mirante all’abbandono del cristianesimo ed alla restaurazione del paganesimo; una politica che gli valse, da parte dei cristiani, l’epiteto infamante di “apostata”, “rinnegato”, la cui prima attestazione scritta risale forse a Gregorio di Nazianzo (Orazione IV, 1).
In realtà, anche se non ne avremo mai certezza, è probabile che Giuliano non commise apostasia, non rifiutò la fede religiosa precedentemente abbracciata, per il semplice fatto che, educato sin dalla tenera età alla filosofia classica ed al platonismo, almeno intimamente, cristiano non lo fu mai.
Formalmente, però, come Cesare di Costanzo II, ne aveva condiviso anche gli atti in materia religiosa, come nel caso dell’editto del 20 febbraio 356: “L’imperatore Costanzo e Giuliano Cesare. Noi ordiniamo di punire con la morte coloro di cui risulti il compimento di sacrifici o di atti di culto idolatrici” (Codice Teodosiano, XVI, 10, 6).
Il tentativo di Giuliano, iniziò in tono molto dimesso (almeno sin quando Costanzo II fu in vita, egli evitò accuratamente di esporre le proprie idee), per poi palesarsi dopo la nomina ad imperatore. Questa mutazione trovò manifestazione anche nella ritrattistica che lo propose sbarbato nel periodo del cesarato (in linea con la tradizione degli ultimi imperatori) e con la folta barba da filosofo dopo la proclamazione imperiale del 260.
Il proposito di Giuliano era quello di creare un movimento pagano che si contapponesse ai cristiani con l’uso delle loro stesse armi; riconoscendo implicitamente la forza (anche “mediatica”) del sistema assistenziale e filantropico realizzato dai cristiani, egli cercò di ripristinare il primato pagano imitandoli, anche nella struttura organizzativa.
Emblema ostile della sua battaglia divenne Costantino; Giuliano, nei suoi “I Cesari”, ironizzò sulla santità dell’imperatore e lo presentò come un personaggio dissoluto, che aveva trovato nel cristianesimo quella mollezza e quella accondiscendenza che il paganesimo non poteva garantirgli, un subdolo manipolatore del sentimento religioso del popolo che, con l’abbandono della tradizione, aveva indebolito l’impero romano.
Proponendosi come oppositore di Costantino, rifiutò il modello di monarca che il suo predecessore aveva proposto, basato sulla deumanizzazione del sovrano; in un certo senso, il ricorso al paganesimo nasceva proprio dall’intuizione dell’incompatibilità di fondo tra impero e cristianesimo.
Certi eccessi, come la smodata passione per i sacrifici cruenti, lo resero però talvolta inviso anche agli stessi pagani (come comprovato dalle critiche mossegli a riguardo dal pur favorevole Ammiano Marcellino).
Nei confronti dei "Galilei", come chiamava i cristiani, Giuliano ebbe una atteggiamento provocatorio (è il caso, ad esempio, del progetto di ricostruire il tempio di Gerusalemme o della riesumazione delle ossa di San Babila dall’ex tempio di Apollo a Dafne) ma non violento. Uno dei primi atti da imperatore unico, alla fine del 361, fu l’emanazione di un editto di tolleranza verso tutte le religioni, compresa quella cristiana; i templi pagani furono riaperti e si poterono celebrare nuovamente i sacrifici.
I vescovi cristiani esiliati nel corso delle dispute tra ortodossi ed ariani (Costanzo II aveva appoggiato l’arianesimo) furono richiamati nelle loro città. Interessante, a riguardo, il punto di vista espresso da Ammiano Marcellino (XXII, 6, 4), secondo il quale Giuliano richiamò i vescovi delle opposte fazioni per creare dissidio tra loro ed indebolire il cristianesimo dal suo interno nella consapevolezza che “nessuna fiera è ostile agli uomini, come la maggior parte dei cristiani sono esiziali a se stessi”.
Al di là dell’ipotesi di Ammiano Marcellino, nell’epistola indirizzata agli abitanti di Bostra, Giuliano minacciò chiunque si unisse ai cristiani con fini violenti o sovversivi ma, nel ribadire la liceità del radunarsi al fine di pregare, esortò i pagani a non commettere alcuna ingiustizia, a non aggredire ed a non insultare.
Uno dei momenti culminanti della politica religiosa di Giuliano fu l’editto del 362 contro i magistros studiorum con il quale proibì ai cristiani di insegnare retorica e grammatica. Questa limitazione, essendo le due discipline considerare basilari per la formazione, rappresentava nella pratica un’esclusione dall’insegnamento; l’obiettivo era far sì che i giovani studenti pagani non dovessero subire i tentativi di conversione posti in essere dai loro docenti cristiani ma Giuliano spiegò il suo punto di vista in un modo differente: non di persecuzione, si trattava, ma della logica conclusione dell’impossibilità di insegnare ciò in cui non si crede. La paideia greca, il percorso di formazione di ogni giovane romano libero, era inconciliabile con la fede cristiana; era impensabile, spiegò Giuliano, che a spiegare le opere della letteratura e della filosofia classica realizzate da autori che onoravano gli Dei, fossero coloro che si rifiutavano di adorarli.
La procedura di nomina degli insegnanti prevedeva una designazione locale, cui seguiva un placet imperiale a conferma. Il Codex Theodosianus (13, 3, 5) ci informa che chiunque volesse insegnare, non aveva facoltà di accedervi senza la preventiva approvazione dell’ordo municipale. L’aspirante insegnante, quindi, doveva prima meritarsi l’unanimità di giudizio dei curiali e successivamente, l’approvazione diretta dell’imperatore.
La restaurazione religiosa durò lo spazio del breve impero di Giuliano ma, per molti pagani, nonostante l'insuccesso del suo tentativo di imporre un credo tanto rigoroso quanto astruso, Giuliano divenne una figura eroica, quasi un "santo pagano", il punto di riferimento ideologico dei tanti che nel cristianesimo videro la causa della rovina dell'Impero.

LE OPERE

Negli anni che intercorsero tra la nomina a Cesare e la morte, Giuliano ebbe una ingente produzione letteraria, in gran parte a noi pervenuta, consistente principalmente in un cospicuo corpus epistolare e nelle seguenti orazioni:
► Orazione I, Panegirico di Costanzo II (357); encomio in lode di Costanzo II composto in occasione del ventennale dell’imperatore, con lo stile retorico tipico di questo genere di testi. Tramite questo panegirico, Giuliano, memore di quanto accaduto al fratellastro Gallo, dichiara la propria fedeltà all’imperatore.
► Orazione II, Panegirico di Eusebia imperatrice (357/358); elogio pieno di affetto e gratitudine per l’imperatrice Eusebia.
► Orazione III, Panegirico di Costanzo II (358); secondo panegirico per Costanzo II, nel quale Giuliano, rispetto al precedente, sembra essere meno accondiscendente nei confronti dell’imperatore.
► Orazione IV, Consolazione per la partenza di Salustio (359); consolatio a sé stesso, scritta dopo l’allontanamento dell’amico e collaboratore Salustio, ricca di riferimenti omerici ed exempla amicitiae ac virtutis.
► Orazione V, Messaggio al Senato e al popolo ateniese (361); lettera aperta al Senato e al popolo d’Atene, scritta dopo l’acclamazione ad Augusto da parte delle truppe, nata dalla necessità di dichiarare la propria lealtà politica e di annunciare la propria “missione”.
► Orazione VI, Lettera al filosofo Temistio (361); lettera di risposta a Temistio, filosofo e retore alla corte di Costanzo II che, dopo la nomina di Giuliano, gli aveva scritto offrendogli la propria collaborazione. Il tema è di carattere politico-filosofico; Giuliano, infatti, esprime la propria ideologia circa il ruolo e le virtù del buon imperatore.
► Orazione VII, Contro il cinico Eraclio (362); scritto polemico, redatto in seguito ad un discorso pubblico tenuto a Costantinopoli dal filosofo cinico Eraclio, nel quale Giuliano propone una sua interpretazione, anche politica, dei miti oggetto di critica da parte dei cinici suoi contemporanei.
► Orazione VIII, Contro i Cinici ignoranti (362); ulteriore attacco ai cinici, a difesa dei valori dell’Ellenismo.
► Orazione IX, Inno alla Madre degli dei (362); scritto filosofico-religioso redatto nei giorni dedicati alla festività della Magna Mater, tra il 22 e il 25 marzo, nel quale l’imperatore espone i dogmi principali della dottrina pagana, soffermandosi in particolare sul culto di Cibale ed Attis.
► Orazione X, I Cesari (363); operetta satirica, scritta nel corso della festività dei Saturnali, nella quale Giuliano immagina un tribunale celeste che passa in rassegna il comportamento dei vari imperatori. Particolarmente sarcastica, come detto, è la descrizione di Costantino.
► Orazione XI, Inno a Helios Re (362); inno di contenuto filosifico-religioso, composto ad Antiochia nella ricorrenza delle celebrazioni per il Sol Invictus (25 dicembre), che nelle intenzioni di Giuliano doveva rappresentare il testo dottrinale del monoteismo solare. Il culto di Helios aveva origine nell’antico culto iranico di Mitra, ripreso a Roma come Sol Invictus, particolarmente venerato tra le file dell’esercito romano.
► Orazione XII, L’Odiatore della barba (363); libello contro gli Antiocheni, colpevoli di essersi dimostrati freddi, se non ostili, alla politica economica e religiosa dell’imperatore, che avevano deriso per la sua barba filosofica. Giuliano, aveva fatto trasferire in un cimitero fuori dalle mura le reliquie di San Babila, che erano state poste all’interno del locale tempio di Apollo; poco tempo dopo, però, il tempio era stato parzialmente distrutto dalle fiamme e, nonostante la successiva inchiesta non avesse portato all’individuazione certa dei colpevoli e non fu perciò seguita da incriminazioni formali, né ritorsioni, all’imperatore sembrò chiara la responsabilità dei cristiani.

Nell’inverno del 362-363, infine, vide la luce il trattato in tre libri Contra Galileos, pervenutoci in forma frammentaria, attraverso le obiezioni mosse all’opera da Cirillo d’Alessandria nel V secolo. Contra Galilaeos rappresenta una violenta contestazione del Cristianesimo, con particolare riferimento alla pretesa divinità di Gesù ed all’incarnazione di Dio in un uomo.

FONTI COEVE

Tra le fonti per lo studio di Giuliano, oltre alle opere dello stesso imperatore, sono degne di particolare nota:
► le Storie di Ammiano Marcellino. Scritte a Roma nel 390, coprivano la storia imperiale da Nerva, nel 96, alla morte di Valente, nel 378, ma dei trentuno libri che lo componevano ci sono pervenuti solo gli ultimi diciotto (dal XIV in poi, iniziando con l’inverno del 353-354 d.C.). Servì come ufficiale nell’esercito di Giuliano nel corso della sfortunata spedizione contro la Persia ed è pertanto da considerarsi una fonte a lui favorevole; ciò nonostante, Ammiano, pagano, non mancò di mostrarsi critico verso l’attenzione di Giuliano alle questioni religiose che, a suo parere, erano marginali rispetto ai problemi politici e militari;
► il Breviario dalla fondazione di Roma di Eutropio, un compendio di storia romana composto intorno al 369 su invito dell’imperatore Valente. Eutropio, come Ammiano Marcellino, conobbe Giuliano sui campi di battaglia e ne ammirò le doti fisiche e morali;
► le Orazioni (IV e V) di Gregorio di Nazianzo, due invettive contro Giuliano, suo coetaneo e condiscepolo (ad Atene);
► le Orazioni (XII, XIII, XV, XVI, XVII, XVIII e XXIV) di Libanio, retore di Antiochia, pagano, ammiratore di Giuliano, autore di un gruppo di discorsi rivolti all’imperatore;
► il Panegirico (gratiarum actio) di Mamertino, un ringraziamento recitato, come d’uso, in occasione della sua nomina a console, nel 362;
► il Codice Teodosiano, raccolta di leggi compilata per ordine di Teodosio II, pubblicata nel 438.

GIULIANO E KONSTANTINOS KAVAFIS

Molte opere letterarie dell’età moderna e contemporanea hanno trattato della vita di Giuliano. Basti ricordare, per citare solo alcuni classici, il dramma Cesare e Galileo (1873) del norvegese H.Ibsen, il dramma Giuliano l’Apostata (1876) di P.Cossa, la tragedia Giuliano l’Apostata (1885) del ceco J.Vrchlický e il romanzo La morte dei numi: Giuliano l’Apostata (1894) del russo D.S.Merežkovskij, prima parte della trilogia Cristo e l’Anticristo.

Tra i tanti, mi soffermo su Konstantinos Kavafis (1863-1933), poeta greco–alessandrino che, nato esattamente 1500 anni dopo la morte di Giuliano, percepì ancora intensamente e descrisse con vivo livore il tentativo posto in essere da Giuliano di intralciare la transizione dall’ellenismo pagano al cristianesimo
Da cristiano ortodosso, Kavafis lo disprezzò, attribuendogli sterile intransigenza ed ottuso senso della tradizione ma, nel bene o nel male, ne dovette subire l’influenza se, diverse sue poesie, furono direttamente ispirate alla figura dell’imperatore e se, in molte altre, è comunque ricorrente il motivo della sconfitta di colui che non vive in sintonia con i suoi tempi e cerca invano riparo in un modo di fare e di pensare che, oramai, fa parte del passato.
Ne riporto alcune, tratte da Costantino Kavafis – Poesie a cura di Filippo Maria Pontani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1961


GIULIANO, CONSTATANDO NEGLIGENZA (1923)
Io, constatando molta negligenza
in noi verso gli dei...
”, dice con tono grave.
Negligenza. Ma dunque, che sperava?
Poteva riformare il clero nell’organico,
e scrivere al pontefice dei Galati e d’altrove,
dando istruzioni e moniti fin che desiderava.
Positivo: i suoi amici non erano cristiani.
Ma certo non potevano giocare, come lui
(tutto cristiano nell’educazione)
con il sistema d’una chiesa nuova,
grottesco nella pratica e nei piani.
Erano greci, infine. Augusto, non esagerare!


GIULIANO A NICOMEDIA (1924)
Atti rischiosi e vani.
Celebrazioni, visite ai templi dei pagani.
Lodi per gl’ideali della grecità.
Esaltazioni di divinità.
Colloqui con Crisantio con un ritmo frequente.
E le teorie di Massimo (del resto, assai valente).
Ecco la conclusione. Gallo appare
molto inquieto. Costanzo comincia a sospettare.
Ah! Chi lo consigliò non ebbe troppo ingegno.
Questa storia – Mardonio dice – ha passato il segno,
bisogna che finisca subito il suo clamore.
Così Giuliano ritorna lettore
in chiesa, a Nicomedia, e là
a gran voce e con molta pietà
recita le Scritture; e desta ammirazione
nel popolo la sua cristiana devozione.


GIULIANO E GLI ANTIOCHENI (1926)
Ma possibile mai che rinnegassero
la loro vita splendida, la varietà dei loro
quotidiani diletti, il loro fulgido
teatro, dove l’Arte era una cosa sola
con i trasporti erotici?
Immorali lo erano, non poco (forse molto).
Pure, avevano un vanto: quella vita
era la decantata vita d’Antioca,
di voluttà, di gusto inimitabile.
E ora, rinnegare tutto? E dove rivolgersi?
Ai vaniloqui sugli dei falsi e bugiardi,
alle sue ciance uggiose su se stesso,
alla puerile fobia del teatro, alla sua
austerità sgraziata, alla barba ridicola?
Oh, certo, meglio Chi.
Oh, certo, meglio il Cappa. Cento volte.


GRAN PROCESSIONE D’ECCLESIASTICI E LAICI (1926)
D’ecclesiastici e laici una gran processione
(rappresentate tutte le categorie)
sfila per strade e piazze e porte
della famosa città d’Antiochia.
In testa all’imponente processione
un efebo bellissimo biancovestito regge
con le mani levate la croce,
nostra forza e speranza, la Santissima Croce.
I pagani, già tanto tracotanti,
e ora tutti riservati e timidi,
s’allontanano in fretta dal corteo.
E lontano, lontano da noi restino sempre
(fino a che non abiurino il loro errore). Avanza
la Santissima Croce. E per ogni quartiere
dove divotamente vivono i cristiani
reca conforto e gioia:
escono, i pii, sugli usci
e pieni d’esultanza adorano
la forza, la salute del mondo, la Croce.
È una festa annuale dei cristiani.
Ma oggi, ecco, si celebra con più cospicua pompa.
È libero lo Stato, finalmente!
Il sozzo, abominevole Giuliano
ormai non regna più.
Preghiamo per il piissimo Gioviano.


INTESO, NO (1928)
Sulle nostre credenze religiose, il fatuo
Giuliano disse: “Ho letto, ho inteso,
ho condannato
”. Quasi ci avesse annichilito
con quel suo “condannato”. Che buffone!
Tali motti non hanno presa su noi cristiani.
Subito rispondemmo: “Hai letto; inteso, no:
se avessi inteso non avresti condannato
”.

BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

Fonti antiche
► Ammiano Marcellino, Le storie, a cura di A.Selem, UTET, Torino, 2007
► Giuliano, Alla Madre degli Dei e altri discorsi, (contiene: Lettera a Temistio, Alla Madre degli Dei, A Helios re, Misopogon) a cura di J.Fontaine, C.Prato e A.Marcone, Mondadori - Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 1987
► Giuliano, L’odiatore della barba, a cura di N.Montenz, Archinto, Milano, 2008
► Orosio, Le storie contro i pagani, a cura di A.Lippold, Mondadori - Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 1976
Codice teodosiano, disponibile su: http://ancientrome.ru/ius/library/codex/theod/tituli.htm

Raccolte di fonti antiche
► F. Della Corte, Antologia degli scrittori latini minori, Loescher-Chiantore, Torino, 1955
► G.Geraci – A.Marcone - C.Salavaterra - A.Cristofori), Fonti per la storia romana, Le Monnier, Firenze, 2006

Studi su Giuliano
► D.Borrelli, Lezione su Giuliano, dispense relative al Master in Studi Storico Religiosi tenuto presso l’Università degli Studi di Napoli L'Orientale: http://www.master-unior.it/Materiali%20e%20documenti/lezione%20su%20Giuliano.pdf
► A.Marcone, Un panegirico rovesciato: pluralità di modelli e contaminazione letteraria nel “Misopogon” giulianeo in Revue des Études Augustiniennes et Patristiques, n. 30, pp.226-239, Parigi, 1984 (disponibile anche on line: http://documents.irevues.inist.fr/handle/2042/1186)
► I.Tantillo, L’imperatore Giuliano, Laterza - Bari – Roma, 2001
Per approfondimenti, una buona bibliografia critica su Giuliano è presente in D.Borrelli, cit. e in I.Tantillo, cit..
Per dare un'idea della pessima fama di Giuliano presso gli storici del XIX secolo, ho pubblicato un breve estratto di un breviario di storia romana per gli studenti (un Bignami, per intenderci) pubblicato nel 1850 (in traduzione italiana da un testo francese): http://www.docuter.com/viewer.asp?documentid=4163037894b078217298861258783255&Giuliano-lApostata-da-compendio-1850

Altri Studi
► A.Cameron, Il tardo impero romano, Il mulino, Bologna, 1995
► G.Geraci – A.Marcone - C.Salvaterra - A.Cristofori, Storia romana, Le Monnier, Firenze, 2004
► A.Marcone, Pagano e cristiano – Vita e morte di Costantino, Laterza - Bari – Roma, 2002
► P.Siniscalco, Il cammino di Cristo nell’Impero romano, Laterza - Bari – Roma, 1983